Contro la Rosa Rossa
Lettura storica del “Riccardo III” di William Shakespeare
Non si può comprendere l’importanza del “Riccardo
III” all’interno dei drammi di William Shakespeare dedicati alla storia
inglese se non lo si colloca nella sua giusta sequenza temporale, rappresentata
dall’inizio, l’acme e la conclusione della Guerra delle Due Rose, ovvero il
periodo che fu propedeutico alla nascita della moderna Inghilterra, sancendone
il passaggio, travagliato, dal Medio Evo all’Età Moderna. In tal guisa “La vita e la morte di Re Riccardo III” (The Life and Death of King Richard III)
è intimamente legata all’opera che lo precede: l’ “Enrico VI”, nella quale Shakespeare mette in scena il sorgere delle
contrapposizioni tra le due Case di Lancaster (simbolizzata dalla Rosa Rossa) e
York (simbolizzata dalla Rosa Bianca), entrambe rami dello stesso albero dei Plantageneti.
Il “Riccardo III” è inoltre, in un certo
senso, anche l’opera dei primati. Non solo per la sua lunghezza, ma anche
perché in esso troviamo ben tre re che si avvicendano sul Trono d’Inghilterra:
Edoardo IV, Riccardo III e Enrico VII.
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Riccardo III di York |
E’ inoltre forse l’unico tra i drammi
storici in cui i personaggi femminili assumano un aspetto centrale, esercitando un ruolo
politico, seppur indiretto, determinante, dapprima sancendo le fortune di Riccardo di Gloucester e in seguito la sua caduta. Va anche detto che questa
peculiarità è forse parte del retaggio storico della Casa di York, giacché, a
differenza dei Lancaster, essa fece discendere le proprie rivendicazioni al
Trono per via matrilineare. Questo aspetto in realtà si ritrova anche nelle
scene iniziali dell’ “Enrico V”,
quando il giovane re Lancaster, consigliato dall’Arcivescovo di Canterbury e
dal Vescovo di Ely, ritiene di potere sconfessare la validità della legittimità
dei re francesi basata (secondo i due religiosi, pretestuosamente) sulla legge
salica, in realtà da essi stessi, ovvero dai loro antenati, non rispettata.
Enrico V di Lancaster |
In
quanto “poeta di corte” di Elisabetta I Tudor (1533-1603), l’intento di
Shakespeare non può non essere considerato (anche) sotto l’aspetto celebrativo
degli antenati dei Tudor: Enrico IV (1367-1413), Enrico V
(1387-1422) e sopratutto Enrico VII Tudor (1457-1509). Nel medesimo tempo, Riccardo III di York (1452-1585) viene dipinto
come un feroce tiranno e il suo governo un regno del terrore a cui fu posto termine dal giovane Conte di Richmond (il futuro Enrico VII), augusto avo
di Elisabetta. Se tuttavia si analizzano più nel dettaglio le opere del bardo
inglese è possibile notare come questa dicotomia non sia in realtà così netta
come appare. Le vicende storiche da cui nacquero le dispute che poi portarono
alla Guerra delle Due Rose affondano le proprie radici negli ultimi anni di
regno di Riccardo II Plantageneto. Conscio di questo aspetto, Shakespeare dedicò
a questo sovrano una tragedia all’interno del suo vasto affresco strorico-teatrale.
Così che sono ben cinque i drammi
storici tra essi legati: il “Riccardo II”,
l’ “Enrico IV” (in due parti), l’ “Enrico V”, l’ “Enrico VI” (in tre parti) e infine il “Riccardo III”. Queste opere coprono ottantasei anni di storia
inglese, dalla deposizione di Riccardo II (1377-1399), per opera di Enrico
Bolingbroke di Lancaster, nel 1399, alla morte di Riccardo III di York e
conseguente ascesa al Trono (1485) del capostipite della dinastia Tudor, Enrico
VII.
Dal
“First Folio” (Mr. William Shakespeare
Comedies, Histories, & Tragedies, Published according to the True Originall
Copies) sappiamo che Shakespeare mise mano per primo al dramma dell’ “Enrico IV” tra il 1588 e il 1592. Tra il
1591 e il 1594 compose invece il “Riccardo
III”, mentre tra il 1594 e il 1595 scrisse il “Riccardo II”. Infine, solo nel 1596 affrontò la stesura dell’ “Enrico IV” e, poi, dell’ “Enrico V” (1599). L’inizio della stesura
dell’ “Enrico IV” coincise con il 30° anno di regno di Elisabetta I Tudor e con
la vittoria (8 agosto) della flotta inglese, comandata da Sir Francis Drake, sull’Invincibile Armada di Filippo II di Spagna, il
quale, in quanto consorte regnante della defunta (e cattolica) Maria I Tudor
(1496-1533) sorella di Elisabetta I, rivendicava il potere sovrano
sull’Inghilterra.
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Riccardo III di York (a sinistra) e Enrico VII Tudor (a destra) |
Molto
si è discusso sull’origine dei due simboli tradizionalmente associati alle due
Case di Lancaster e York. Oggi si è concordi nell’affermare che i primi
storicamente ad adottare consapevolmente la rosa rossa furono i Tudor, seppur con
una variante, peraltro significativa. Ad essa sovrapposero una, più piccola,
rosa bianca, per simboleggiare l’unione delle due casate sancita dal matrimonio
di Enrico, Conte di Richmond, poi Re d’Inghilterra, con Elisabetta Woodwile,
figlia di Edoardo IV di York. Questo tipo di rosa, diffusa in molti degli
edifici in stile Tudor, è divenuta nota in seguito come “rosa dei Tudor”,
finendo poi per entrare nel patrimonio araldico inglese, ben oltre gli anni di
regno dei discendenti di Enrico VII, come attesta, ad esempio, un ritratto di Giacomo
I Stuart (1566-1625), raffigurato assiso sul Trono d’Inghilterra all'ombra di una rosa rossa. Secondo una tradizione oramai accettata, le due rose furono
scelte dai sostenitori delle rispettive casate nel giardino della chiesa del
Tempio a Londra (Temple Curch). E’ Shakespeare stesso a inaugurare questa
tradizione mettendola in scena nell’ “Enrico
VI parte I”. La citazione (e il conseguente, ulteriore, rimando simbolico)
shakespeariana non è di poco conto. Esistente ancora oggi, il “Temple district”
rappresenta il cuore della City di Londra, dove si trovano la Inner Temple e la Middle Temple, le due antiche e prestigiose scuole di diritto (Inns of Court) dove si formano i grandi
avvocati (barrister) e i magistrati
inglesi. La chiesa è così chiamata perché di origine templare; fu infatti
edificata nel XII secolo dall’Ordine del Tempio come sede londinese. Nel corso
del XIV secolo, soppresso l’Ordine Templare, fu incamerata dalla Corona, che
poi la cedette ai Cavalieri di Malta, per poi rientrarne in possesso dopo lo
scisma anglicano. A testimonianza del suo passato, nella parte più antica del
complesso templare, la Round Curch, sono visibili ancora oggi le effigi in
pietra di nove cavalieri templari. Nel 1871 l’artista John Pettie ritrasse
l’episodio evocato da Shakespeare intitolandolo appunto “La scena nel Giardino del Tempio”. Nel 1908 invece a Henry Arthur Payne
fu commissionata la decorazione di un’ala del palazzo di Westminster. Ispirandosi
anch’egli a questo episodio realizzò l’opera allegorica “The Plucking of the Red and White Roses in the Temple Garden”,
ancora oggi visibile nell’ala est di Westminster.
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John Pettie, "La scena nel Giardino del Tempio" (1871) |
Anche
le lettere in prosa diedero il loro contributo ad alimentare il mito della
Guerra delle Due Rose. Nel 1829 infatti lo scrittore scozzese Sir Walter Scott
scrisse il racconto Anna di Geierstein,
nel quale narrava la missione segreta di due partigiani dei Lancaster nei
territori svizzeri allora soggetti al Ducato di Borgogna (il cui Duca, Carlo il Temerario, 1433-1477, era alleato degli York). Nel 1883, un altro
autore scozzese, Robert Louis Stevenson, pubblicò il famoso romanzo La freccia nera, ambientandolo durante
gli ultimi anni di regno di Enrico VI, quando la lotta tra Lancaster e York,
oramai entrati in aperto contrasto, ovvero dopo le esplicite rivendicazioni del
3° Duca di York (1411-1460), Riccardo (padre dei futuri re Edoardo IV e
Riccardo III), iniziarono a farsi più accese. Vi è, in vero, un altro legame che
unisce la Casa di Lancaster al simbolismo della rosa rossa.
Il terzogenito di Edoardo III Plantageneto (1312-1377), Giovanni di Gand
(italianizzazione di John of Gaunt, 1340-1399) e 1° Duca di Lancaster (nonché
padre di Enrico IV), fu protettore del letterato e diplomatico Geoffrey Caucher
(1343-1400), il quale, oltre ad essere ricordato quale padre della letteratura
inglese (scrisse i “Racconti di
Canterbury”), fu anche il primo nelle isole britanniche a tradurre, seppur parzialmente, il Roman de la Rose,
celeberrimo romanzo allegorico medievale francese, tradotto anche in Italia da Dante con
il titolo Il Fiore.
Dopo
la deposizione di Riccardo II, i Lancaster sedettero sul Trono di San Giacomo
per tre generazioni, fino ad Enrico VI. Non furono anni totalmente privi di
tentativi volti a riportare la corona inglese in seno alla Casa di York.
Famosa rimane, ad esempio, la congiura di Southampton (chiamata dagli storici
inglesi “Southampton Plot”), capeggiata da Riccardo di Conisburgh 3° Conte di
Cambridge (1375-1415), Henry Srope 3° Barone Scopre of Masham (Cavaliere
dell’Ordine della Giarrettiera) e Sir Thomas Grey Cavaliere di Northumberland.
Colui il quale viene considerato l’ispiratore della congiura, il Conte di Cambridge,
era egli stesso un appartenente, per vie collaterali, alla Casa di York: era
infatti figlio terzogenito del 1° Duca di York, Edmondo di Langley (1341-1402),
(ultimogenito di Edoardo III Plantageneto) e inoltre aveva sposato Anna Mortimer
(1390-1411) primogenita di Ruggero Mortimer 4° Conte di March (1374-1398),
designato da Riccardo II come suo erede. L’obiettivo dei cospiratori era quello
di porre sul Trono, quello che (secondo la loro visione), era il legittimo
sovrano: Edmondo Mortimer 5° Conte di March
(1391-1425), fratello di Anna, quindi cognato di Riccardo di Conisburgh
e perciò legittimamente ancora investito dei diritti di successione al Trono
appartenuti al padre. Edmondo, al corrente dei piani, si mostrò tuttavia leale
verso Enrico V, rivelandogli le intenzioni dei tre, fatto che permise il loro
arresto e la conseguente esecuzione capitale (5 agosto 1460), dopo essere stati
riconosciuti colpevoli di tradimento. L’episodio viene ricordato da Shakespeare
nell’Atto II, scena II, dell’ “Enrico V”.
La
morte di Riccardo di Conisburgh non segnò però la fine delle rivendicazioni del
partito yorkista. Suo figlio infatti, Riccardo (futuro 3° Duca) di York, nel
1425 si dichiarò pretendente al Trono innescando la fase più acuta di quella
lotta dinastica che in seguito fu chiamata Guerra delle Due Rose.
Riccardo
di York era, sotto certi aspetti, il pretendente perfetto, poiché, a partire da
un certo periodo della sua vita, assommò sulla sua persona alcune
caratteristiche che lo rivestirono di un considerevole potere, garantendogli per
conseguenza un largo consenso tra molti esponenti della nobiltà inglese. In
questo fu anche aiutato dalla circostanza per cui Enrico VI di Lancaster,
allora regnante, si era mostrato incapace di mantenere buona parte delle
conquiste raggiunte dal padre, Enrico V, in terra francese, benché portasse
(nominalmente) il titolo di Re di Francia, insieme a quello
d’Inghilterra. Una serie di lutti familiari fecero di Riccardo uno dei maggiori
possidenti e magnati dell’aristocrazia inglese. Nato Riccardo Plantageneto il
21 settembre 1411 in Irlanda (il nonno materno era Conte dell’Ulster e Lord
Luogotenente d’Irlanda) rimase presto orfano di entrambi i genitori: aveva
infatti solo quattro anni quando suo padre fu giustiziato da Enrico V per avere
guidato la congiura di Southampton, mentre la madre morì dandolo alla luce. Lo
stesso anno in cui perse il padre, nel 1415 (esattamente il 25 ottobre) morì
anche lo zio, Edoardo 2° Duca di York, caduto nella celebre battaglia di
Anzicourt, la cui vittoria arrise a Enrico V. Dalla Corona gli fu assegnato come tutore Ralph Neville 1° Conte di
Westmoreland. I Neville da esponenti della piccola nobiltà erano stati elevati
alla Parìa da Riccardo II Plantageneto e rappresentavano una tra le famiglie
più influenti del regno (anche in virtù delle loro ricchezze personali) tanto
da essere destinati ad assumere, soprattutto con Richard Neville 16° Conte di
Warwick, un ruolo determinante per l’esisto della Guerra delle Due Rose. A dare
un contributo significativo a questa rapida ascesa ci pensò lo stesso Conte di
Westmoreland organizzando il matrimonio tra sua figlia, Cecile Neville, e Riccardo.
Nel 1425, inoltre, morì l’altro zio di Riccardo, Edmondo Mortimer 5° Conte di
March, che, senza discendenti, lasciò i suoi titoli e i relativi possedimenti
al nipote. Nel giro di pochi anni Riccardo divenne quindi 3° Duca di York, 4°
Conte di Cambridge, 6° Conte di March e 8° Conte dell’Ulster, nonché (giovane)
sposo della rampolla di un’altra facoltosa e influente famiglia, i Neville appunto. Ma
soprattutto, in quanto erede del 5° di March, era anche titolare di legittimi
diritti di successione al Trono. Una successione negata dai Lancaster sulla
base dell’atto con il quale, nel 1399, Enrico di Bolingbroke, davanti al
Parlamento di Londra depose Riccardo II Plantageneto, senza considerare i
diritti di successione già riconosciuti da Riccardo II a Ruggero Mortimer 4°
Conte di March. Le radici delle contrapposizioni dinastiche che poi portarono
alla Guerra delle Due Rose affondano infatti negli ultimi anni di regno di
Riccardo II. Il sovrano Plantageneto era nipote di Edoardo III che aveva
avuto sei figli: quatto maschi e due femmine. Il primogenito ed erede al Trono,
Edoardo di Galles (1330-1376), detto il Principe Nero, era morto prima che potesse
ereditare la Corona. Ciò determinò l’ascesa al Trono di suo figlio, Riccardo
II, il quale senza discendenti diretti scelse come suo successore Ruggero
Mortimer 4° Conte di March, in virtù del fatto che egli era nipote del secondo
maschio (e quartogenito) di Edoardo III, Lionello di Anversa (1338-1368), la cui figlia,
Filippa Plantageneta (1335-1382), aveva sposato Edmondo Mortimer 3° Conte di March. Anna
Mortimer, figlia del 4° Conte di March, aveva sposato il cugino, Riccardo di
Conisburgh, terzogenito del sestogenito di Edoardo III, Edmondo di Langley 1°
Duca di York.
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Riccardo Plantageneto 3° Duca di York |
Sulla base di queste ascendenze, dunque, de jure, il ramo di York fece derivare
le proprie rivendicazioni al Trono per via matrilineare, ovvero da Anna
Mortimer, nipote del quartogenito di Edoardo III Plantageneto (Lionello di
Anversa, 1° Duca di Clarence) e primogenita di Ruggero Mortimer 4° Conte di
March, erede designato di Riccardo II. Mentre de facto trassero il nome del proprio casato dal titolo ducale
dello sposo di Anna Mortimer, Riccardo di Conisburgh 3° Conte di Cambridge e
terzogenito di Edmondo di Langley
(sestogenito di Edoardo III Plantageneto) 1° Duca di York, fratello di
Giovanni di Gand 1° Duca di Lancaster (quintogenito
di Edoardo III Plantageneto) e zio di Riccardo II (1367 – 1400). Enrico di
Bolingbroke, figlio di Giovanni di Gand, depose Riccardo II nel 1399 mentre
erano ancora validi i diritti di successione di Edmondo Mortimer 5° Conte di
March, fratello di Anna Mortimer, i cui titoli, alla sua morte, passarono al nipote, Riccardo di Conisburgh, che a sua volta li trasmise a suo figlio, Riccardo Plantageneto 3° Duca di York. Stante questo scenario la fazione dei Lancaster può essere definita realista, mentre quella degli York legittimista. Ecco perché, dunque, nell’ “Enrico VI parte III”, (Atto I, scena I), Shakespeare fa recitare ai
due contendenti, Enrico VI di Lancaster e Riccardo di York, e ai loro
partigiani le seguenti battute:
<< […]
-ENRICO
VI- Per qual ragione, York, tu vuoi depormi? Siamo, tu ed io, Plantagenèti,
entrambi discendenti da due fratelli. Supponiamo pure che in linea di diritto e
d’equità, spetti a te d’esser Re … Pensi tu dunque ch’io m’induca a cedere quel
regal trono sul quale mio nonno e mio padre sedettero da Re? No! Prima che ciò
avvenga, sia la guerra a ridurre spopolato questo mio regno; e codesti vessilli
che tante volte garrirono in Francia ed ora - a grave strazio del mio cuore, in
Inghilterra - siano il mio sudario!… Perché restate lì, muti e perplessi, miei
signori? Il mio diritto è valido, di gran lunga più valido del suo!
-WARWICK- Provalo, Enrico, e sarai tu il Re!
-ENRICO VI- Mio nonno, Enrico Quarto, ottenne la
corona per conquista!
-RICCARDO DI YORK- No, fu per ribellione al suo
sovrano!
-ENRICO VI- (Tra sé) Non so cosa rispondergli …
in verità, il mio titolo è debole … (Forte a York) E, ditemi, un sovrano, non può adottare un erede?
-RICCARDO DI YORK- E con ciò?
-ENRICO VI- Con ciò, io sono Re a pieno titolo,
perché Riccardo, innanzi a molti Pari, rassegnò la corona a Enrico Quarto dal
quale poi l’ereditò mio padre di cui sono l’erede
-RICCARDO DI YORK- Non è vero! Riccardo fu costretto
con la forza a rinunciare al regno, dopo che Enrico s’era ribellato a lui,
ch’era suo Re >>
Qui Shakespeare si riferisce all’Atto III, scena terza, del suo “Riccardo II”, durante il quale viene
rappresentata la forzata abdicazione di Riccardo II a favore di Enrico
Bolingbroke, figlio di Giovanni di Gand 1° Duca di Lancaster. Nel dramma shakespeariano la disquisizione
sulla legittimità delle rivendicazioni di Riccardo di York prosegue fino a far
riconoscere perfino al Duca di Exeter, zio di Enrico VI di Lancaster, la
validità dei fondamenti giuridici esposti dalla fazione di York. “Avvocato”
delle argomentazioni di York è Richard Neville 16° Conte di Warwick, in quel
momento il più influente Pari d’Inghilterra, talmente da essere poi definito “the Kingmaker”, il creatore di Re.
<< -WARWICK- Ed anche supponendo, miei Signori,
ch’egli lo avesse fatto non costretto … pensate che ciò sia pregiudizievole al
diritto di York a reclamare la corona? >>
A questo punto il Duca di Exeter riconosce egli stesso la fondatezza delle
rivendicazioni di York
<< -EXETER- No, perché avrebbe potuto
rassegnarla solo a patto di far comunque salvo al suo diretto erede il diritto
a succedergli nel regno >>
L’erede legittimo, poiché Riccardo II non aveva discendenti, era
appunto Ruggero Mortimer 4° Conte di March, la cui madre, Filippa Plantageneta,
era figlia di Lionello di Anversa 1° Duca di Clarence e quartogenito di Edoardo
III, quindi zio di Riccardo II. Nello svolgimento del dramma shakespeariano
oramai il quadro giuridico della legittima successione al Trono è chiaro ad
entrambi gli schieramenti, nonostante il trasecolare di Enrico VI:
<< -ENRICO VI- Exeter, anche tu contro di me?
-EXETER- Suo è il diritto, e perciò perdonatemi
-RICCARDO DI YORK- E voi, Signori, perché state lì a
bisbigliare tra voi, senza rispondere? >>
A questo punto la conclusione del Duca di Exeter è lapidaria e non lascia
scampo a Enrico VI:
<< -EXETER- La mia coscienza mi dice che York è
Re legittimo
[…] >>
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Enrico VI di Lancaster |
Probabilmente, il dialogo composto da Shakespeare non corrisponde
storicamente alle parole esatte che le due fazioni si scambiarono. Questo sebbene Shakespeare abbia voluto dare alle sue opere una autentica patente di storicità, così come peraltro rivelano i titoli dei suoi drammi, come, ad esempio quello dedicato ad Enrico V, intitolato appunto "The Chronicle History of Henry The Fifth". Ciò non
ostante esso rispecchia appieno la sostanza del contendere. Quel che seguì infatti
è storia: Riccardo Plantageneto dopo un’iniziale esitazione, frutto di una
tattica temporeggiatrice, prese apertamente le armi contro Enrico VI e i Lancaster.
Le schermaglie iniziali segnarono punti a suo favore fino ad ottenere che il Re
e il Parlamento lo riconoscessero erede della Corona alla morte di Enrico VI. Ma
nel dicembre del 1460 i lancasteriani, guidati dalla risoluta Regina Margherita
d’Angiò (1430-1482), presero d’assedio il castello del Duca di York e il 30 dello stesso
mese diedero battaglia alle forze yorkiste a Wakefield. La sorte fu spietata
con Riccardo, perché sconfitto fu ucciso insieme al figlio diciassettenne,
Edmondo Conte di Rutland (1443-1460). Dopo essere stato decapitato la sua testa, cinta da
una corona di carta in segno di beffa, fu appesa su una picca. Le fortune della
Rosa Rossa durarono tuttavia breve tempo. Nell’arco di pochi mesi infatti gli
York, guidati dai tre figli di Riccardo: Edoardo Conte di March (1442-1483), Giorgio (1449-1478) e Riccardo (in seguito creati rispettivamente Duca di Clarence e Duca di Gloucester), si riorganizzarono e il primo riuscì
a farsi proclamare Re con il nome di Edoardo IV (4 marzo 1461). La risolutezza
della Regina Margherita d’Angiò tuttavia spinse i lancasteriani ad un’ulteriore
rivalsa. Ma nella battaglia di Townton (29 marzo) le forze fedeli a York misero
in fuga sia la Regina che Enrico VI. Nel 1465 infine Enrico VI fu imprigionato
nella Torre di Londra. Nel 1470 il Conte
di Warwick alleatosi dapprima con Giorgio di Clarence, poi con i Lancaster, per spodestare Edoardo IV riuscì a riporre sul Trono Enrico VI.
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la Rosa dei Tudor |
La restaurazione dei Lancaster fu effimera, perché già nel 1471
Edoardo IV, sbarcato dalla Francia, dove nel frattempo si era rifugiato, convinse
il fratello Giorgio di Clarence a lasciare le fila del Conte di Warwick che, cadde a
Barnet (nord di Londra), fece prigioniera la Regina Margherita d’Angiò e uccise
l’erede di Enrico VI, Edoardo di Lancaster (1453-1471), nella battaglia di Tewkeskbury (4 maggio). L’uccisione di
Enrico VI suggellò il trionfo degli York. Edoardo IV, che nel 1478 fatto giustiziare il fratello Giorgio Duca di Clarence per tradimento, poté regnare e governare
senza oppositori e ulteriori contrasti. Dopo di lui solo altri due York cinsero
la corona: il suo primogenito, Edoardo V, e lo zio di questi,
il Duca di Gloucester, che divenne Re Riccardo III d’Inghilterra, dopo avere fatto dichiarare illegittimi dal Parlamento i figli del defunto fratello.